BARABBA’ S QUINTET
2015
sax alto Clarissa Durizzotto
fender rhodes/Korg ms20 Giorgio Pacorig
basso Romano Todesco
batteria Alessandro Mansutti
voce narrante Aida Talliente
una produzione DobiaLab Laboratori Creativi “Associazione culturale Gruppo area di ricerca”
“È impossibile dire che razza di urlo
sia il mio: è vero che è terribile
– tanto da sfigurarmi i lineamenti
rendendoli simili alle fauci di una bestia –
ma è anche, in qualche modo, gioioso,
tanto da ridurmi come un bambino.
È un urlo fatto per invocare l’attenzione di qualcuno
o il suo aiuto; ma anche, forse, per bestemmiarlo.
È un urlo che vuol far sapere,
in questo luogo disabitato, che io esisto,
oppure, che non soltanto esisto,
ma che so. È un urlo
in cui in fondo all’ansia
si sente qualche vile accento di speranza;
oppure un urlo di certezza, assolutamente assurda,
dentro cui risuona, pura, la disperazione.
Ad ogni modo questo è certo: che qualunque cosa
questo mio urlo voglia significare,
esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine”.
P. P. Pasolini
BARABBAS
Un concerto. Un “viaggio” tra parole e musica. Una voce che racconta i suoni e suoni che nascono piano per poi esplodere e far uscire nuove parole, nuove grida. Ed è proprio Il Grido umano, quello che cercano di attraversare i Barabba’s quintet con la fusione tra musica e poesia; il grido dell’anima, dell’amore, dell’esistenza, della rabbia, il grido di guerra e il grido in luoghi assediati. È l’urgenza di raccontare un frammento dell’umanità, la sua bellezza e grandezza e le sue più profonde miserie e bestialità. Sono i suoni, che spaziando dal free-jazz al prog psichedelico, costruiscono i luoghi, gli spazi e il tempo. E la costruzione non è mai sempre la stessa ma cambia, si modifica, si nutre di quello che accade in quel preciso istante in cui la voce narrante entra in dialogo e parla, racconta, contempla, urla.
È lì che bisogna andare per trovare qualcosa, tra quelle urla che ognuno, nel suo profondo, conosce. È lì che val la pena di cercare senza sosta per scoprire anche solo un nuovo filo di voce che non si pensava di avere, una perduta meraviglia, uno sconosciuto dolore vivo.
Pasolini diceva che “Chi non conosce i gridi del mondo non sa niente”.
Grida di chi ha vissuto.
Grida dietro le finestre chiuse di un manicomio.
Grida di una disperata fame d’amore.
Grida di ribellione tra i fuochi di una guerra.
Grida di ogni insopportabile giorno.
Grida che, per quanto forti, nessuno le sente.
SGUARDI CRITICI
Sicuramente interessante il disco d’esordio di questo gruppo friulano. “Mirae Umbrae” è basato, su due suite. La prima è intitolata “War” e comprende quattro tracce. La seconda, “Mad House”, è composta da otto brani. Fra i singoli brani non c’è in pratica soluzione di continuità. L’unico stacco del disco è fra una suite e l’altra.
A disegnare il percorso delle dei due blocchi suite è una serie di brani letterari basati su testi di vari autori fra i quali Pier Paolo Pasolini, Jose Saramago, Alda Merini, Allen Ginsberg. Un primo ascolto potrebbe far pensare a un reading, commentato da sonorità in qualche maniera identificabili, ma questa lettura si rivela inadeguata non appena si tenti un approfondimento. Innanzitutto va detto che quella della Talliente non è solo una voce recitante. L’attrice non si limita a dare spessore drammatico alla sua lettura. È, invece, una voce musicale vera e propria, anche se non canta. Il suo parlato, le sue grida, sono parte integrante del progetto musicale. La sua voce è il quinto strumento del gruppo. È perfettamente funzionale all’asprezza e all’urgenza espressiva della parte musicale che si regge su una ritmica di rara potenza ed espressività, sulle grida elettroniche degli strumenti suonati da Pacorig, e sulle lancinanti sequenze del sax. Non a caso la Durizzotto parla di questa proposta musicale come di psichedelia. Il disco sembra uscire in qualche maniera dagli anni ’60-’70. È pensato, non a caso, su “An american prayer” dei Doors, ma è anche, in qualche modo, intriso di un mood coltraniano: è gridato, turbolento, implacabile, ferito. Cerca la strada dell’indicibile. La performance della Talliente sui versi della Merini, in cui la poetessa racconta l’esperienza del suo ricovero in una clinica psichiatrica, è forse il momento in cui il disco racconta di più il progetto che gli ha dato vita. Quello di dare una risposta viscerale, gridata, alla cappa di silenzio che, giorno dopo giorno, sembra gravare sulle emozioni umane. “Mirae Umbrae” non è un disco d’impegno politico. È un grido esistenziale. In ogni caso è un disco che non lascia indifferenti. Può emozionare o suonare sgradito per la sua asprezza, ma lascia tracce, colpisce, graffia.
Marco Buttafuoco