Teatro strumento politico (Mia Magazine)
Secondo numero della rivista Mia Magazine. Articolo di luglio. Buona lettura!
TEATRO STRUMENTO POLITICO
Il teatro, come ogni forma d’arte, va a toccare le corde più intime e profonde della natura umana, quelle parti in cui risiedono le emozioni: le gioie, i dolori, le paure, le rabbie, dunque tutto ciò che mette a nudo la fragilità della persona; fragilità che porta con sé un grande bellezza. E di persone è fatto questo mestiere, dell’incontro tra le persone che può avvenire in diversi luoghi e in diverse modalità. Può accadere in un teatro, magari proprio dopo uno spettacolo ma anche in contesti diversi, più complessi, a volte drammatici. Sono anni che scelgo di lavorare non soltanto in teatro ma anche in alcune di queste situazioni: in Brasile con gli indios e i Sem Terra, in Africa con le ex ragazze soldato della Costa d’Avorio e negli ultimi anni, con alcuni amici e colleghi, in molti campi profughi d’Europa (Serbia, Bosnia, Grecia, fino al confine con la Syria). E sono tante le persone incontrate, tante le esperienze vissute sulla propria pelle, tante le relazioni tuttora molto preziose e più il tempo passa più si rafforza in me la certezza di quanto sia potente e necessaria questa materia perché è uno strumento di relazione, di educazione, d’ informazione, di lotta, di protesta e di memoria oltre ad essere portatore di bellezza e di speranza. Se dovessi tradurre in forma concreta la frase: “Scegliere da che parte stare” direi che questo è lo strumento che ogni giorno mi permette di scegliere dandomi la possibilità di raccogliere e raccontare storie. Siamo circondati da storie ma sempre di più è necessario comprendere quali sono storie vale la pena raccontare e come farlo per costruire una realtà migliore. Per me le storie sono la vita delle persone: i loro volti, gli occhi, le parole che rimangono dentro. Mettersi addosso la “vita” di qualcun altro richiede una grande responsabilità perché si attua un’operazione sulla memoria, in qualche modo si diviene memoria e bisogna esserne consapevoli così come dobbiamo essere consapevoli che il tipo di strumento utilizzato è politico. Mi capita a volte, dopo uno spettacolo, di percepire una commozione profonda e dunque un cambiamento, perché qualcosa è andato a toccare alcune corde intime dell’animo. Questo accade in teatro ma anche in altre situazioni grazie al teatro. Come esempio prendo proprio i campi profughi dove i bambini, quando vedono degli spettacoli, iniziano a ridere e a gioire e la loro giornata, seppur in minima parte, in qualche modo cambia, perché accade che nell’inferno in cui vivono si apre una “finestra” che inferno non è. La mia responsabilità come persona, come donna, come attrice è fare in modo che quella finestra si allarghi sempre più e si nutra di bellezza perché è ciò di cui tutti noi abbiamo bisogno. E quando il teatro (e chi lo fa) riescono a portarci in questa dimensione, allora significa che si tratta di un buon attore e di un buon teatro.